pagina precedente

pagina successiva

Underdose


E' rimasto isolato il telefono:
lo tengo accostato all'orecchio
come una conchiglia di plastica
messa a sostituire la vera,
lo giro senza capire
come se avessi addentato
un grappolo d'uva di cera.
Eri tu che m'avevi chiamato?
Come saperlo?
Come sentirlo in modo obiettivato?

Mi pulsa e pulsa denso nelle vene,
mi martella le tempie il tuo sentore.
Oh quanto è stata forte la torsione!
Non potendo far senza di te,
dalla mia stessa angoscia ho distillato,
senza rendermi conto dapprima
e poi interiorizzato,
giorno per giorno,
notte dietro notte,
lo struggimento di te,
questa tua rarefatta compresenza
dolce e penosa quanto niente al mondo.
Goccia a goccia il mio sangue l'ha assorbita
e recata ai polmoni disseccati,
al cuore, al cervello
che pompavano a vuoto,
al sesso prorompente e esacerbato.
Ma troppo, troppo tempo t'ho aspettata!
Non più di te, della tua droga io vivo.
Anche se questo tunnel senza fine
in cui s'è imbottigliata la mia vita
avesse invece un termine, uno sbocco
- tu me l'annunci adesso ed io ti credo -
troppo l'ho atteso, troppo l'ho cercato
e ormai mi aggiro in un chiuso meandro,
prigioniero impotente,
e non lo vedo.

pagina precedente

pagina successiva