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Il dono di Pandora


Porto altrove la testa,
altrove gli occhi
e le mani
tremanti per la febbre del tuo corpo.

Più amorfo d'un viaggio nel Catai,
più irriducibile di un'eresia,
più innervato nel bulbo che il rimpianto,
più lacerante della giovinezza
è il non-evento che ci ha separati:
fra te e me è interposto il tuo rifiuto.

Facendone stampella dignitosa,
la schiena raddrizzata e gli occhi opachi
porterò, come Edipo, tra la gente
che, di te ignara, vive la sua vita.

Io la preserverò dal tuo contagio;
non schiuderò il tuo dono di Pandora.
Monaco portatore del suo enigma,
terrò per me, nel cavo del bastone,
il mio baco da seta prigioniero.

Sopporterò il tuo morso
come un fachiro immune dal veleno
del suo serpente disincantato.

A denti stretti manterrò serrato
il mio favo di fuoco nella canna
dorsale, svuotata del midollo.

Esso sarà la mia risorsa estrema.
Soltanto nel momento in cui sentissi,
non reggendo oltre a questa contrattura,
d'esser sul punto di dire il tuo nome,
il suo cianuro romperò tra i denti.

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