L'esorcismo dell'Arcilussurgiu
"Ragazzo mio, ti vedo alquanto male"
mi disse sogghignando.
(Ragazzo ? A me che ho più di quarant'anni !)
"Eh, sì ! per te non vedo proprio scampo.
A meno che... Che c'è,
ti meravigli perché t'ho chiamato
ragazzo? Non ti senti forse tale ?
anzi lo sei due volte !". E rise forte,
facendo sobbalzare la dentiera.
"Che credi ? Sotto questa veste anch'io
son fatta proprio come una ragazza.
Ragazza quattro volte. So allattarti"
- ed esibì una mammella vizza -
"e potrei, se volessi, affatturarti".
Si scoprì fino all'inguine le cosce,
mostrando gambe ardite da ventenne.
"A meno cosa ?" ripresi daccapo.
"A meno che tu non sappia darti
d'un fiato il coraggio che ti manca.
Ma per questo sei troppo ragazzone ;
e hai famiglia" soggiunse di sottecchi.
"Per Dio vedrai...". "Sst ! stai sbagliando porta.
Se hai bisogno d'un santo che t'aiuti
devi rivolgerti all'Arcilussurgiu,
che fa abortire in agosto le vergini
e fa cadere le zecche alle pecore
di notte, durante il novilunio".
"Insomma, dimmi cosa devo fare.
Stiamo mungendo le mammelle al toro !".
"No, non adesso. Torna fra tre giorni ;
vieni digiuno, verso mezzanotte.
E accendi un cero per l'Arcilussurgiu !"
mi gridò dalla porta sghignazzando.
"Come va, sei pronto ?"
e guardò la siringa controluce.
Le porsi il braccio, come il collo al cappio.
"Eccomi, dai ! E adesso avanti, parla !
Parla, sangue di nicchio, o ti sconocchio !".
"Stammi bene a sentire : puoi ascoltarmi
ma non guardarmi in faccia mentre parlo,
fin quando io stessa non ti chiederò
di farlo. Stenditi adesso e rilassati :
inizia qui il viaggio nella sorte.
La quinta notte avanti il plenilunio
portala via dentro un sacco di juta,
imbavagliata con i suoi capelli.
Portala sulla barca e prendi il largo.
Navigherai per due notti ed un giorno
verso nord-ovest. Il secondo giorno
tirala fuori ; la legherai nuda
all'albero, le braccia dietro, strette
con cima di canapa ritorta.
Scioglile i capelli e spartiscili
in due grosse trecce con le quali
le serrerai la nuca bionda all'albero.
La terza notte, al levar della luna,
le cingerai il collo con un serto
di cardi gialli ; intorno ai fianchi e al pube
intrecciale un fiorito perizoma
con tralci di rose selvatiche.
Il terzo giorno le si spaccheranno
le labbra e la lingua per la sete.
Squarciale allora, con un cavatappi,
il fegato e intridivi una spugna
così da abbeverarla col suo fiele.
La quarta notte infilale nel naso
quattro forbicine per narice,
otturandole poi con ceralacca
in modo che risalgano al cervello
a scavarvi teneri cunicoli
come fanno i vermi nel formaggio.
Il quarto giorno legale sugli occhi
un embrione di pollo, che avrai cura
di bagnare con acqua salata,
mantenendolo fresco fin quando
i gabbiani non l'abbiano strappato
a beccate, insieme con le palpebre.
Venerdì diciassette d'agosto
la notte sarà di plenilunio.
Alla terza ora dopo mezzanotte
alzati e va' da lei ; le aspergerai
tutto il corpo con acqua piovana
in cui avrai infuso petali di rose,
e le detergerai, alla luce argentea,
il volto, che vedrai trasfigurato.
Le toglierai il serto di cardi
e il perizoma di tralci di rose.
Al loro posto, un filo di corallo
allaccerai al collo delicato
e un braccialetto di rame e uno d'ambra
a ciascuno dei polsi : le caviglie
stringerai insieme con una collana
a doppio giro, di perle rosate.
Scioltile i capelli sulle spalle,
tienle stretta la testa tra le mani
e dalle il tuo respiro, bocca a bocca.
Poi aspetta ignudo che sorga l'aurora,
tenendo tra i denti un pesce vivo.
Non guardarla, se non di sfuggita ;
sta' attento invece a non perdere d'occhio
il mare che cangia nell'azzurro.
Attenderai il momento in cui, con l'alba,
per un istante i suoi occhi, il cielo e il mare
saranno dell'identico colore.
In quell'istante conficcale in petto
un paletto aguzzo d'ulivo
con in punta un chiodo d'argento :
picchia forte con una mazzetta
massiccia di legno di rovere
finché non senti che hai inchiodato all'albero
il suo cuore sgusciante come un polpo
e coriaceo com'è il cuoio ben conciato.
Soltanto allora guardala negli occhi.
Spècchiati in quegli occhi spalancati
in cui hai smarrito un giorno la tua vita :
tuffati ancora in quella conca azzurra
mentre tieni inchiodata la sua piovra,
spaccale il cuore se ti vuoi salvare !
Spaccale il cuore e poi guardami in faccia,
guardami fisso se hai ancora coraggio !".
Aprii gli occhi, ma non ne vidi il volto.
La gola rovesciata palpitava,
turgida come quella d'una tortora.
Rialzò infine il capo, sollevando
le palpebre rugose su due pozze
oblunghe d'azzurro pervinca.
Mi sentii attanagliare le visceri
dalla stessa attrazione del vuoto
di quando, bambino, avevo visto
un ragazzo tuffarsi a strapiombo
dalla rocca di Scilla in uno specchio
d'acqua viola, retratto tra gli scogli.
Inarcandomi contro il capogiro,
scorsi la lingua rosea da civetta
far capolino in mezzo alla dentiera
ballonzolante ; e vidi, finalmente...
sì, sentii che s'era compiuto
l'esorcismo, ma insieme a un sortilegio,
e che, all'ultima mano, avevo preso
la carta che chiude la partita :
scopersi piano quell'ultima carta
come si scopre la faccia a una salma,
sbirciandola da sotto, e riconobbi,
tra quattro doppie X in cifra agli angoli,
un volto increspato dagli inganni,
un volto - il tuo ! - di vecchia d'ottant'anni.
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